IL REGIONALISMO
Il Regionalismo concepito dai Legislatori Costituzionali e Ordinari era un vero sistema federale, basato sulla figura del Comune come centro amministrativo di riferimento, essendo lo stesso l’ente più vicino al cittadino. La volontà legislativa, certificata dall’intero impianto Costituzionale del titolo quinto, e principalmente dell’articolo 118, era volta ad evitare che il sistema regionale si trasformasse da regionalismo a centralismo di secondo grado a livello regionale.
Questa Volontà Costituzionale è stata scientemente disattesa e stravolta dal potere di tipo lobbistico dei partiti, che, con il regionalismo fondato sul Capoluogo di Regione, qualifica non prevista dall’ordinamento giuridico Costituzionale e Ordinario, ma esclusivamente dallo Statuto Regionale, hanno di fatto trasformato l’Italia in una specie di confederazione con tante capitali.
La concentrazione della quasi totalità della spesa pubblica corrente sia “regionale” che “statale in ambito regionale”, nel territorio del capoluogo di Regione, ha completamente stravolto la distribuzione universalistica della spesa pubblica.
Questa forzatura ha trasformato l’Italia, in contrasto con la nostra Costituzione, in una società di casta territoriale, evidenziata dal vuoto deflazionistico del flusso circolare del reddito dei territori provinciali. Infatti la concentrazione in un unico territorio della spesa pubblica, formata da un prelievo fiscale universalistico, genera un’anomalia nella redistribuzione del reddito, che altera la funzionalità macroeconomica dello Stato.
Infine disattende l’imperio degli art. 2 e 3 dei principi fondamentali della Costituzione, creando disparità di diritti tra i cittadini.
Costituisce causa principale della crisi economica e sociale del Paese, fattore di disgregazione territoriale, principale ostacolo alla applicazione dei principi di proporzionalità e sussidiarietà.