COVID19: servono dati, umiltà e una comunicazione non adulterata

21/11/2020

di Fabio Andreola – NOME Officina Politica

David Byrne, leader della rock band Talking Heads, è un artista geniale che spazia con disinvoltura dal rock alla fotografia, all’architettura e a molto altro ancora. Nei primi anni del nuovo millennio presentò in diverse università americane il suo utilizzo artistico di PowerPoint, il software più utilizzato per fare presentazioni. Un progetto ispirato da Edward Tufte, un professore di statistica che David Byrne conosceva e stimava. Fu così che conobbi Edward Tufte. 

Casualmente, nello stesso periodo, una mia collega medical writer (che si occupava di trasporre in pubblicazioni scientifiche i dati di studi clinici) mi disse che nel suo mondo Tufte era conosciuto, soprattutto per un suo articolo (“Visual and statistical thinking: displays of evidence for making decisions”) che questa mia collega mi regalò. Lo lessi con interesse e l’ho riletto con ancora maggior interesse in questi giorni, per l’attualità dei suoi contenuti. 

Tufte parla dell’importanza dei dati e del modo in cui i dati vengono visualizzati. Racconta casi molto inquietanti, come quello della tragedia dello Shuttle del 1986. Dimostra che la NASA aveva tutti i dati necessari per decidere di non autorizzare quella missione. Questi dati sembravano non evidenziare pericoli. Cambiandone la visualizzazione, emergeva invece il difetto del velivolo che risultò poi essere fatale. 

Un altro caso è quello di una epidemia di colera che flagellò Londra nel 1854. Tufte racconta come l’epidemiologo John Snow riuscì a bloccarla, chiudendo una pompa d’acqua contaminata a Broad Street. Tutti erano convinti che l’epidemia si trasmettesse per via aerea. Lui cambiò le regole del gioco, si affidò ai dati, ai vari modi di visualizzarli e riuscì a raccomandare la decisione giusta che salvò vite umane. 

Sembra leggere le cronache attuali: “I dati che venivano analizzati erano elenchi di vittime, tristi bollettini giornalieri completamente inutili per identificare una strategia e decisioni utili a fermare l’epidemia. Snow costruì un modo per visualizzare i dati andando alla ricerca di causa-effetto…”. A distanza di oltre 150 anni dobbiamo purtroppo constatare che stiamo facendo lo stesso errore. Anzi più grave, perché i dati non li abbiamo proprio. Non lo dico io, lo dice da marzo scorso Alberto Zuliani, mio professore di statistica, ex presidente dell’ ISTAT. L’ho rivisto in un evento organizzato pochi giorni fa dalla Associazione Luca Coscioni. Chiede dati, senza i quali non si possono prendere decisioni ragionate. Potrebbe darci risposte a domande semplici (che probabilità ho di contagiarmi, di ammalarmi, di guarire a casa, di finire in ospedale e lì guarire o lasciarci la pelle?), ma la nostra burocrazia e la (dis)organizzazione sanitaria fanno sì che gli unici dati disponibili siano il triste bollettino aggregato di decessi, tamponi, etc. Dati che, come dice il Prof. Zuliani, non servono a nulla. 

E’ per questo che l’ associazione NOME Officina Politica ha aderito all’iniziativa Dati Bene Comune LEGGI QUI. Chiediamo che i dati siano forniti in forma disaggregata e pubblica, così che possano essere accessibili a ricercatori e decisori. Sarebbe bello se anche la nostra ASL, anziché trincerarsi dietro ai suoi confusi comunicati, aderisse all’iniziativa con umiltà e trasparenza. Ammettendo i propri errori, le difficoltà nel reperire e fornire dati, ma riconoscendo l’esigenza di trovare presto una soluzione. Conquisterebbe la fiducia e la comprensione della cittadinanza e potrebbe essere un modello virtuoso per le altre ASL e per la Regione Lazio.

Ripetendoci invece che la situazione è sotto controllo, non farà altro che aumentare la frattura con i cittadini, che sono più informati di quanto non si creda. “You’re talking a lot, but you’re not saying anything”, cantava David Byrne in Psycho Killer.

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