di PAOLO FOSSO, Attore e autore
Le città, così come le aziende e le Famiglie, hanno un ciclo vitale. Crescono, si sviluppano e poi, decadono.
Sono gli individui che abitano questi gruppi sociali che, a volte, riescono ad imprimere una svolta inaspettata ad un destino che appare già segnato.
A questo mi è capitato di pensare quando, a fine ottobre, mi sono trovato al Festival del Cinema italiano di Villerupt, dove era ospite il film “Il Banchiere Anarchico “, di Giulio Base, nel cui cast sono presente.
Villerupt è una città posta al confine col Lussemburgo, nell’antica regione della Lorena (ducato indipendente fino al 1766), ricca di giacimenti di carbone, che – con l’Alsazia – fu a lungo contesa fra Francia e Germania tra Otto e Novecento. Nel secondo dopoguerra, grazie a questa sua vocazione mineraria, fu uno dei centri nevralgici dell’emigrazione italiana in Francia. Provenienti da tante regioni d’Italia (anche le meno ricordate come terre di emigrazione, come l’Umbria), i lavoratori italiani partivano e venivano prelevati alla frontiera dai camion dei datori di lavoro delle miniere e delle numerose acciaierie presenti fra Lorena e Lussemburgo. Erano lavoratori che trovavano in questi duri lavori una opportunità per costruirsi una vita migliore rispetto a quella cui erano destinati. Villerupt diventò così un crogiolo di lingue e culture diverse, soprattutto spagnole e italiane che si sovrapponevano a quelle francesi e tedesche.
Poi, all’inizio degli anni ‘70, con la crisi del petrolio, la situazione cambio’. L’estrazione del carbone e la produzione di acciaio andarono in crisi. Villerupt, con poche vie di collegamento (strade e ferrovia), senza sbocchi al mare resto’ tagliata fuori dal nuovo sistema economico. Miniere e acciaierie chiusero e la città Inevitabilmente decadde. La popolazione scese da quasi ventimila abitanti a poco più di novemila. I paesaggi piatti popolati di fantasmi industriali. Però….
qualcuno, visto che la popolazione era in maggioranza italiana, pensò di creare un festival del Cinema italiano. Inizialmente era una festa paesana: le donne anziane preparavano la pasta, gli uomini provvedevano ad accogliere i visitatori. Volontari. Per puro piacere di onorare le due Patrie: quella di origine e quella che aveva dato loro una vita dignitosa. Poi il vento cambiò ancora.
Oggi quell’iniziativa, portata avanti con perseveranza, crescendo passo passo, attira a Villerupt circa quarantamila presenze nel periodo del festival (dura qualche mese). Da un lato ha stimolato e accompagnato il processo di riqualificazione delle vecchie acciaierie tra Francia e Lussemburgo, trasformate in alberghi, luoghi di aggregazione, sale universitarie, all’ombra dei vecchi macchinari divenuti monumenti alla memoria del duro lavoro di tanta gente. Dall’altro ha mantenuto il suo aspetto originario e genuino di sagra dell’orgoglio italiano, evolvendolo.
Alle anziane donne che preparavano la pasta, si sono sostituiti i figli e i nipoti, affiancati da professori universitari provenienti da tutta la Francia che volontariamente fanno da accompagnatori, autisti, conferenzieri. Tutto a titolo gratuito.
Gli stand del festival, la sala principale delle proiezioni, la sala accoglienza degli ospiti sono all’interno del palazzo comunale, pavesato di luci col nostro tricolore, che intanto continua a svolgere la sua attività, rilasciando certificati e celebrando matrimoni (ad uno, multietnico, accompagnato da cori magrebini ho assistito anch’io). Proiezioni di film si fanno all’interno del vecchio mattatoio, delle antiche fabbriche (tra Francia e Lussemburgo), nei camion (giuro: una sala da settanta posti in un camion attrezzato all’uopo). Il festival ha coinvolto in pieno il Lussemburgo, il cui confine è a dieci minuti di macchina. Un festival europeo di orgoglio italiano in terra di Francia.
Cosa insegna quest’esperienza?
Tante cose.
Un evento di arte pop può stimolare la crescita di un territorio.
L’onesta’ intellettuale con cui viene condotto attribuisce autorevolezza all’evento stesso.
Un attento marketing territoriale, volto a far conoscere l’evento in tutto il mondo riesce ad attirare presenze che rilanciano l’economia.
Ma soprattutto: solo se una cittadinanza si fa comunità, accettando e cooperando alla riuscita di un evento riconosciuto patrimonio di tutti si può invertire il declino trasformandolo in rinascita.
La domanda vera è: quando vogliamo cominciare?
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(il presente contributo, per estratto, è stato pubblicato su “il Messaggero” di Sabato 29 Dicembre 2018)