Sulla mobilità la ASL non vuole o non sa rispondere

16/11/2021

Mobilità sanitaria extra regionale al 32,8%: fa bene la DG della ASL ad affermare che occorre contestualizzare la sua gestione nell’ambito del piano di rientro finanziario della Regione Lazio, del sisma 2016 e della pandemia Covid19.

Fa bene anche quando invita ad allargare lo sguardo dal 2011 al 2019 e a diffidare da improvvisati “scienziati, epidemiologi, virologi, statistici“.

Proprio per questo è utile fare riferimento alle fonti ufficiali, al metodo scientifico adottato da ISTAT, periodo 2011-2019 e confrontare i dati di Rieti con quelli delle provincie che hanno lo stesso vissuto amministrativo (Regione Lazio) e simili vicende territoriali (le provincie confinanti anch’esse colpite dal sisma).

La questione Covid, se si vuole essere intellettualmente onesti, non incide, in quanto fatto globale. Né incide il terremoto, che ha colpito la nostra provincia, ma anche diverse provincie di altre Regioni, alle quali molti dei pazienti reatini migranti si rivolgono.

Fa al caso nostro la “Banca dati degli indicatori territoriali per le politiche di sviluppo”, alimentata da ISTAT, che ha appunto l’obiettivo di osservare i risultati raggiunti dalle politiche e la promozione di un dibattito pubblico informato. (https://www.istat.it/it/archivio/16777 Obiettivo tematico 11).

Riguardo la migrazione ospedaliera fuori Regione, una semplice consultazione mostra che il dato già elevato del 2011, il 15,8% ha avuto una esplosione in piena gestione D’Innocenzo, passando dal 18,3% (2018) al 28,6% (2019). La dichiarazione della D’Innocenzo, che attesta che i cittadini che vanno a curarsi fuori provincia sarebbero ridotti da 20.000 del 2011 a 13.000 a fine 2019, difficilmente si sposa con i dati ISTAT, anche volendo tenere in considerazione il calo della popolazione residente.

Si tratta di un tasso di emigrazione sanitaria largamente superiore, fino a tre volte, sia rispetto alle altre provincie della Regione che rispetto a quelle confinanti.

Anche le strutture ospedaliere hanno diminuito l’occupazione dei posti letto. A Rieti, nel 2011, le giornate di degenza (persone ospedalizzate residenti nella regione) erano 148.319; negli anni seguenti vanno a diminuire, con una percentuale similare ad altre provincie, anche in relazione alle politiche di contenimento della spesa.

Ma per Rieti è dall’anno 2016 che la diminuzione  assume caratteristiche fuori scala, con un calo delle giornate di degenza ospedaliera, rispetto al 2011, al -17,3% del 2016, -23,1% nel 2017, -24,8% nel 2018, addirittura -51,8% nel 2019. L’anno 2019 conta solo 71.442 giornate di degenza (ricoveri superiori ai 3 giorni), meno della metà del 2011. Il crollo dell’ospedale Grifoni di Amatrice non pare giustificare una tale perdita a distanza di tre anni dal sisma.

Ovviamente al dimezzamento della degenza corrisponde una corposa diminuzione dell’attività ospedaliera, minore svolgimento di mansioni ed attività professionalizzanti, diminuita attrattività del nostro ospedale per le competenze esterne e per quelle che fortunatamente r(esistono).

Alla luce di quanto sopra, dopo 5 anni di gestione D’Innocenzo, che rimarca “con tanta fatica siamo riusciti a far entrare (la nostra ASL) nella visibilità positiva nazionale”, ci chiediamo se a tale risultato che la gratifica corrisponda un adeguato livello dei servizi sanitari, unico interesse del cittadino. A nostro giudizio no. La riteniamo inadeguata alla gestione di una Azienda che, in attesa del rilancio attraverso le risorse del PNRR e la futura costruzione di due nuovi ospedali (Rieti e Amatrice) deve recuperare anni persi, cogliere opportunità, valorizzare risorse umane e recuperare un rapporto organico con il territorio.

Se la visibilità nazionale contribuisce, come sostiene la D’Innocenzo, alla attrattività nella azienda da lei gestita, può dirci quanti pazienti scelgono Rieti per venire a curarsi e per quali patologie? Al netto di chi si rompe una gamba al Terminillo o ha un incidente sulla Salaria, ovviamente.

Sarebbe anche utile capire se i reatini che vanno a Terni, a Roma, a L’Aquila, etc. sono pazienti che non hanno possibilità di essere curati a Rieti (dove non ci sono molte, forse troppe, chirurgie specialistiche ad esempio), oppure perché proprio non si fidano per esperienza, per sentito dire, o addirittura per consiglio dei medici di base.

Il nostro è un giudizio politico, basato su analisi di dati. Non avendo ottenuto risposte dalla ASL, ci rivolgiamo allora alla politica, che finora ne ha trasversalmente apprezzato l’operato e ha attestato stima al suo massimo dirigente. La posizione di una piccola associazione di cittadini, NOME Officina Politica (che, guarda un po’, si occupa di politica e valuta la amministrazione pubblica) è molto chiara: chi le ha, fornisca risposte altrettanto chiare.

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