Sanità e infrastrutture, tra Rieti e Umbria

21/12/2020

Dato di fatto: nei prossimi mesi pazienti reatini bisognosi di una operazione chirurgica o di una radioterapia
oncologica, saranno “presi in carico” dalla ASL di Rieti, nel migliore dei casi con un pullmino, per essere
dislocati tra Magliano e una clinica privata di Roma, Villa Tiberia. Ciascuno trovi una motivazione alle scelte:
che sia per Covid, che sia colpa di macchinari obsoleti, che sia per disorganizzazione o incapacità di
gestione, che siano motivazioni politiche volte a alimentare la sanità romana.

E così i pazienti reatini prenderanno il posto, lungo la Salaria, dei tamponi Covid che hanno viaggiato su e
giù per mesi, fino a quando ritardi inaccettabili, errori nelle analisi e una sollevazione popolare ha portato
ad un ripensamento di quella organizzazione.

Anche sul laboratorio analisi, per il quale scade la deroga e allo stato di fatto diviene subordinato al San
Filippo Neri, Rieti si prepara a sostenere, ormai esausta, l’ennesima battaglia di retroguardia.

Questi fatti accadono proprio nei giorni in cui, con l’apertura dell’ultimo tratto della Rieti-Terni, due
capoluoghi di provincia diventano tra loro meno distanti di quanto possano esserlo due municipi romani.

Non ci vuole grande fantasia per comprendere cosa significa: perché il problema non è solo organizzativo, o
sanitario, ma territoriale.

Lo sapeva bene Zingaretti nel 2015, quando sottoscriveva un accordo di programma tra Lazio e Umbria, che
riconosceva la specificità di province di periferia come Rieti e Viterbo; un accordo sulla mobilità sanitaria tra
Umbria e Lazio, in cui le aree di confine venivano indicate l’ambito per sperimentare concretamente l’idea
di un «federalismo solidale». Un accordo in cui si riconosceva la esigenza che le Regioni si autoriformassero
attraverso un’integrazione tale da mettere insieme territori già naturalmente collegati e connessi per
dinamiche economiche, industriali e del lavoro.

L’accordo prevedeva la facilitazione di accesso alle prestazioni dei pazienti tra Regioni, la mobilità dei
professionisti, l’eliminazione delle differenze tariffarie, la definizione di criteri comuni per l’accesso alle
prestazioni sanitarie nei diversi regimi assistenziali regionali; si prevedeva la mobilità di equipe di
professionisti di una regione nelle strutture dell’altra, rivalutare la rete dell’emergenza, attività di training
all’interno di progetti per favorire l’integrazione fra professionisti dell’area territoriale e specialistica delle
due regioni, programmi di monitoraggio e controllo comuni.

Immaginare cosa avrebbe significato una collaborazione di questo genere in questi anni.

Ma l’accordo è rimasto sulla carta, magari ostaggio di una cinquantina di persone nei posti giusti,
interessate a salvaguardare proprie rendite di posizione, alla presenza di una politica incapace di “indicare
la via” ed a scapito di una intera provincia e dei suoi malati che ne pagano il prezzo con lacrime e
sofferenza.

Il problema non è solo sanitario. E’ politico. Proprio il tema territoriale dovrà essere al centro del dibattito
sul futuro di Rieti, per affrontare le distorsioni di un sistema regionale non più adeguato alle esigenze delle
aree interne.

Uscire dal meccanismo della “deroga” per avviare lo strumento del “progetto” è nostra intenzione: avviare
un confronto con le forze politiche e i cittadini che non ritengano immutabile lo “status quo”, valutare
alternative, più o meno radicali, da percorrere, insieme a Viterbo e Terni, a partire dai temi della sanità,
delle infrastrutture, dei progetti di sviluppo.

Sarà uno dei punti cardine della proposta politica di NOME Officina Politica alle elezioni Amministrative del
2022.

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